Ci vuole un fisico bestiale

Roll e Tenor dei Lupi del Grana, anglo francesi capomuta per la lepre e per il cinghiale, un'altra razza allevata da Osvaldo e Gianluca Lerda

Articolo  tratto dalla rivista "Diana Caccia" di Massimo Scheggi

Probabilmente il grand o il briquet griffon vendéen rappresentano, nell'immaginario collettivo dei cinghialai, lo chien courant più adatto nella caccia alla bestia nera, grazie alla sua mole, al suo mantello irsuto, alla seguita incessante, al suo ululato, che incute timore al cinghiale ma mette in soggezione anche i postaioli. I francesi del resto dicono che per un animale grosso ci vuole un cane grosso e che per di più abbia il fisico di ruolo.

Roll e Tenor dei Lupi del Grana, anglo francesi capomuta per la lepre e per il cinghiale, un'altra razza allevata da Osvaldo e Gianluca LerdaAd eccezione dei segugi italiani e del dachsbracke tutti i cani da seguita sono stati ridimensionati, quanto a numeri, nel 2004 rispetto all'anno precedente. Quindi anche gli chiens courants francesi. Gli ariégeois che da qualche anno avevano superato, quanto a iscrizioni al Roi e Rsr, i briquet griffon vendéen – per molto tempo i segugi francesi più diffusi in Italia – perdono quasi 200 effettivi per strada mentre il briquet, mantenendo quasi le posizioni del 2003, si riavvicina al collega transalpino. Grossa battuta d'arresto del petit bleu de Gascogne che passa da 550 iscrizioni del 2003 alle 329 del 2004. Piccola avanzata invece, ma grande in percentuale, dell'anglo-francese (da 122 a 145) e del porcelaine (da 96 a 143). Rimanendo alle due razze più diffuse c'è da dire che l'ariégeois viene impiegato da noi, come in Francia, indifferentemente sulla lepre come sul cinghiale, mentre il briquet griffon vendéen è un cane essenzialmente cinghialaio e sinceramente sarebbe anche un po' ridicolo vedere questo canone ululante inseguire una timide lepre.«È celebre in Gallia il detto che li somiglia – i cani celtici – al- l'uom che mendica alle porte, poiché hanno voce lamentabile e di pianto e non latrano cacciando, come fossero infuriati contro la preda, ma come angosciati e dolenti». Così Arriano di Nicomedia, autore di un Cinegerico e vissuto sotto l'imperatore Adriano nel II secolo dopo Cristo, scriveva dei segugi transalpini. Siccome questi segugi celtici, oggi si direbbe francesi, Arriano li definisce anche «irti e brutti a vedere», si potrebbe fare un accostamento con gli attuali briquet griffon vendéen. Per la voce io dico di sì, per la morfologia non saprei, anche perché sono passati quasi 2.000 anni da Awiano a noi e il briquet come lo conosciamo adesso è frutto di vari incroci (briquet in francese sta per il nostro bastardo o meticcio che dir si voglia) e vede la sua creazione a partire solo dagli anni Venti del secolo scorso. Magari si potrebbe trovare un riscontro con il grand griffon vendéen che è alla base della creazione del briquet, però credo che,anche in questo caso, si lavorerebbe troppo di fantasia. Ricordo peraltro, en passant, che di vandeani ne esistono anche altre due razze: il grand basset griffon vendéen e il petit basset griffon vendéen. La solita moltiplicazione dei pani e dei pesci effettuata dai francesi. Se quindi è difficile accostare la morfologia di cani così distanti nel tempo (anche perché non abbiamo raffigurazioni probanti), si può tuttavia dire che la voce degli chiens courants in genere è davvero ululata, cavernosa, a volte lamentosa, «angosciata e dolente», tipo quella di un mendicante. Vi avrò del resto già raccontato di come rimasi meravigliato, durante una cacciata al cinghiale nella tenuta della Mar-
siliana, al cospetto di una muta di vandeani, nell'udire la voce di un briquet che era tale e quale quella descritta da Arriano.


I vandeani hanno grande resistenza e sopportano bene il dolore: pelle spessa e pelo duro sono a volte una valida corazza contro le zanne del cinghiale

Le gesta dei vandeani me le rinnovella il giovane Gianluca Lerda che, insieme al padre Osvaldo, è titolare dell'allevamento dei Lupi del Grana in quel dì Caraglio, provincia di Cuneo. Gianluca, che alleva con successo anche ariégeois e anglo-francesi di piccola veneria, appartiene a una squadra famosa di cinghialai della Valle Maira. Dai suoi racconti traspare una grande passione e un grande amore per i cani. Ne abbiamo scelto uno (tagliando qua e la per esigenze di spazio) in quanto narra la seguita ma anche le disavventure di un briquet griffon vendéen che, come leggerete, dimostra proprio di avere il fisco di ruolo per cacciare il cinghiale. Ecco quanto ci scrive Gianluca.Il  piccolo Alex con Pongo, cucciolone ariégeois dei Lupi del Grana di Osvaldo e Gianluca Lerda

«La stagione trascorsa e stata ricca di un ottimo carniere di 50 cinghiali, tutti begli animali. La soddislazione di tutta la squadra non è quella di fare la mattanza di selvatici, ma è come si catturano e come lavorano i nostri segugii. In una delle ultime giornate di caccia dei 2004. nella quale avevamo abbattuto 6 cinghiali, alla conta dei cani, la sera, ne mancava uno: Oscar. grande riproduttore vandeano il quale, in seconda cacciata nel pomeriggio, usato come unico capomuta con due giovani suoi figli, aveva scovato due cinghiali spingendoli fuori battuta e seguitando lungo il rifugio del Pajan, zona Valle Maira, dove i cìnghiali albergano da anni, in zone impervie e difficilmente raggiungibili dai battitori e anche dai cani. Tramite via radio so di mio padre che nell'altra battuta riesce a mandare alle poste diversi cinghiali, dei quali con buona sorte riusciamo a mandarne tre, mentre altri due riescono a scollinare e a ricercare la sicurezza nel rifugio faunistico, incalzati però dai vandeani. lo, recuperati due cuccioloni e messili nel carrello. mi dirigo di tutta corsa con il fuoristrada verso la direzione dei cani. Questa e una fase molto importante, quando il battitore cerca di fermare i segugi dalla seguita che porta fuori la zona di caccia. Ecco allora che subentra una figura della squadra importantissima, cioè uni cacciatore postaiolo che ha la conoscenza e l'esperienza dei territorio, dei passaggi degli animali, dove sentendo la voce incalzante della seguita capisce la direzione giusta nella quale si presume attraverseranno i segugi. Per la nostra squadra questo personaggio è Bertù (piemontizzato da Roberto) il quale è seguito nella stessa passione da Marisa, sua moglie, entrambi accaniti cinghialai delle nostre vallate. Bertù svolge anche le funzioni di caposquadra. insieme a mio padre e a me. Recuperare i segugi dalla seguita di un cinghiale è un'impresa non da poco, vivi una sensazione forte, inferiore solo di poco all'abbattimento del cinghiale. Mentre vado svelto sul fuoristrada, ti arrivano le direttive sul movimento dei cani: ora sono a metà costa, vanno verso la sagna (in pienwntese l'insoglio). Sento Diana e Zico con Luna più indietro, loro vanno verso la centralina (una cabina idroelettrica). Arrivo sul posto, provo ad appostarmi davanti al trattoio proprio della centralina, cammino lesto per arrivare alla posta dove Massimino, detto il sindaco (lo è davvero), aveva abbattuto il cinghiale in una cacciata precedente. Quando arrivo mi accorgo che le frasche erano sporche di fango. Capisco che il cinghiale era già passato e attraversato. Intanto sento il boato dei segugi che mi scendono uniti nella seguita con voce incalzante e cupa. In quei momenti l'adrenalina è a mille, la concentrazione è massima come quando stai per sparare al cinchiale. Devi individuare un punto preciso dove puoi essere addosso al cane, in modo che non possa divincolarsi facilmente. Ecco, il primo è Zico. Seguendo tutto naso a terra, mi esce proprio dalla fronda. spezza siepi e spini sulla strada del cinghiale. Gli urlo Zico e lui rallenta e io lo prendo al collare per legarlo al guinzaglio. Subito arriva anche Diana. molto scaltra e veloce pur nei suoi undici anni compiuti. Mi taglia sull'altro lato più pulito e come una freccia. continuando nella seguita, attraversa la strada asfaltata. riprende la traccia, salta il canalotto d'acqua e va là sul trattoio della centralina proprio come aveva detto Bertùr. Intanto arriva anche la Luna, sempre sulla strada di Zico. Facilmente mi obbedisce e lego anche lei. Con il recupero dei segugi, tornare a casa per festeggiare i cinghiali presi è una gioia ancora più bella. perché sei libero dal pensiero di doverli cercare e dalla preoccupazione di non averli recuperati. Oscar però ci fa stare in ansia, perché la sera di caccia, dopo le dovute ricerche, non è rientrato, ma l'indomani, rnentre si dividono i cinghiali, ci arriva una rasserenante telefonata: Oscar è stato trovato in una frazione di montagna adiacente alla nostra zona di caccia da un cacciatore di un'altra squadra di cinghialai della Valle Maira. Da noi la collaborazione tra cacciatori nel ritrovare i cani di una o dell'altra squadra è una priorità di educazione venatoria. Recuperato, il cane sale da solo nella gabbia del fuoristrada. Arrivato a casa il cane sembrava integro anche se affaticato, comunque tirava a guinzaglio, il mantello per di più era tutto bianco, lavato poiché nella sera di caccia c'era stata pioggia e nevischio.Parigi dei Lupi del Grana, briquet griffon vendéen di Osvaldo e Gianluca LerdaLo metto in allevamento e il cane si accovaccia in cuccia. Il giorno dopo però Oscar non esce dalla sua casa, è mogio. Lo prendo piano piano per tirarlo fuori. Ha il naso asciutto e la febbre. Cerco di controllarlo bene pelo per pelo e sotto il costato l'indice della mano entra in una scanalatura di pelle tagliata. Un taglio di più di dieci centimentri con un buco profondo su cui la pelle si era appiccicata dopo la ferita. probabilmente per essersi accovacciato nella notte, magari al riparo di una roccia che evidentemente aveva tamponato la ferita che aveva al polmone. Portato d'urgenza in clinica, la dottoressa veterinaria del nostro allevamento rimane esterrefatta di come Oscar sia potuto sopravvivere a quel devastante taglio al polmone. Operato, non ci dà molte garanzie che superi il danno e ci prepara a qualunque avvenimento. Oscar rimane sotto osservazione in clinica, ma, per fortuna, già l'indomani dall'intervento, quando andiamo a vederlo, esce fuori dal lettino da solo per fare i suoi bisogni. Incredibile: io e mio padre che non abbiamo chiuso occhio per tutta la notte, avvisiamo subito Bertù per tranquillizzare anche lui. Oscar rimane ancora in cura di antibiotici, ma il pericolo più grave di non farcela nelle prime 12 ore è passato. La dottoressa parla di un cane miracolato. Aggiunge che il tessuto del polmone nel tempo si rimargina per via naturale. L'importante è che dalla ricucitura non fuoriesca dell'aria e l'edema vada via gradualmente. Così è stato e oggi Oscar è rimasto con la stessa grinta e forza di sempre, un grande vandeano che è anche un grande riproduttore. Questa è un'esperienza che mi ha lasciato sbalordito e naturalmente felice di come si è conclusa». Idem per noi

 


Ciao Massimo

Massimo Scheggi

 

 Massimo Scheggi

Massimo Scheggi non c’è più. Inutile girarci attorno, trovare belle espressioni, far finta che non sia così. La verità purtroppo è questa nella sua cruda realtà. Un altro duro colpo dopo che poco tempo fa anche un altro amico, Francesco Parducci, che ricordiamo in questo stesso numero, ci aveva lasciati. Nel suo caso, per quel poco che serve, eravamo in un certo modo preparati. Con Massimo no.
Se ne è andato all’improvviso, un sabato dello scorso novembre. Negli ultimi _:orni aveva lamentato qualche problema di salute, ma tutto sembrava risolto per il meglio, tanto che ci permettevamo di scherzarci sopra.
Proprio per i postumi di quei disturbi aveva dovuto rinunciare ad essere dei nastri per prendere parte ad una eacciarella al cinghiale, un’altra delle sue tante passioni. Ed è proprio quando abbiamo acceso i telefoni tornando alla casa di caccia che abbiamo saputo. Inutile dire che la notizia ci ha lasciato tutti impietriti. E quando dico tutti intendo veramente tutto il nostro mondo, nel quale Massimo era una presenza forte e rappresentativa. Se mai ce ne fosse stato bisogno, a provarlo sarebbero sufficienti le telefonate ricevute in questi giorni e la rapidità con cui si è diffusa la notizia, portando con sé un dolore e uno sgomento difficili persino da immaginare.
II suo impegno per la scuola, il suo lavoro, per la caccia, per la cinofilia, il suo ruolo in Federcaccia, dove per anni ha retto importanti incarichi dirigenziali… i suoi tanti interessi, come l’ornitologia, la letteratura, l’amore per le tradizioni di Firenze, la sua città…
il vuoto che lascia è enorme. Per molti, in particolare per noi di Diana – che prossimamente lo commemorerà in maniera ufficiale – sarà difficile non poter contare più sulla sua collaborazione, assolutamente impossibile

godere più della sua amicizia. L’ultima volta che ci eravamo sentiti, lui convalescente, pochi giorni prima di andarsene per sempre, mi aveva salutato con una promessa: «La stagione non è ancora finita. Adesso torniamo a caccia insieme… ».
Lo sapeva quanto mi piaceva cacciare con lui e con i suoi cani e appena possibile me lo proponeva, con quei suoi modi bonari. Siamo stupidi, noi uomini, e per un malinteso senso di «virilità» certe cose non ce le diciamo, ma credo che provasse dell’affetto per me, che a volte trapelava, magari con una carezza sul callo, un po’ paterna, un po’ burbera, come quelle che faceva ai suoi bracchi e con uno spontaneo «Non fare i’ bischero…» in risposta a qualche mia uscita poco ortodossa. Certo io gli ero affezionato e, come sempre, adesso lo dico a chi in fondo non interessa, ma non l’ho mai detto a lui. Spero tu sia a caccia adesso, Massimo, lo spero davvero. Meglio, ne sono convinto, perché
eri un uomo buono e se c’è un Paradiso a te è toccato di sicuro. Certamente sarai con i tuoi bracchi. E quando sarà, presto o tardi, spero manterrai la promessa che mi hai fatto. Ciao Massimo, non mi riesce di continuare. Mi mancherai. Anzi, manchi già a tutti noi, perché quello che ho scritto io lo pensano
tutti gli amici di Diana e tutti coloro che ti hanno conosciuto.

Marco Ramanzini

 

articolo tratto dalla rivista “Diana Caccia”

 

A caccia nella “Granda”

gruppo di caccia

gruppo di caccia

articolo tratto dalla rivista “La caccia al cinghiale”di Alessandro Cipriani

 

In provincia di Cuneo il “sus scrofa” é in netta espansione, tanto da essere divenuto una causa non insolita di incidenti stradali:dal febbraio 2000 all’agosto 2001 sono stati investiti da automobili ben 86 cinghiali, un dato che la dice lunga sulla diffusione di questo animale. Di pari passo aumentano anche i danni al patrimonio agro/silvo/pastorale.Il mese scorso abbiamo voluto iniziare la stagione venatoria proprio in questa provincia, ospitati da Osvaldo e Gianluca Lerda, noti allevatori di segugi francesi ed appassionati di caccia al cinghiale.

Primi passi verso la gestione controllata

 

L'ex riserva del Paian,per anni rifugio dei cinghiali della zonaA causa dell’aumento degli incidenti automobilistici e delle richieste di danni al partimonio agro/silvo/pastorale la Provincia ha emanato di recente delle linee guida per il controllo del cinghiale, che prevedono non solo una maggior attenzione verso gli allevamenti di questi animali, che lo ricordiamo possono essere cresciuti solo per scopo alimentare, ma anche una maggior sensibilizzazione dei Comitati di Gestione (A.T.C. e C.A.) che si attua attraverso il monitoraggio delle popolazioni residenti e l’esortazione a riequilibrare attraverso la caccia la struttura delle popolazioni concentrando il prelievo verso gli indiviclui più giovani e risparmiando gli adulti.Inoltre la Provincia ha previsto degli interventi diretti al contenimento numerico che possono svolgersi anche al di fuori del normale periodo venatorio. In questo caso l’intervento si attua attraverso battute con fucili a canna liscia, a tiri (diurni o notturni) con la carabina ed ottica di mira dall’altana o da appostamento fisso o mobile e grazie all’impiego di gabbie e chiusini con successivo abbattimento degli animali catturati.

 

La caccia al cinghiale in provincia di Cuneo

Anzitutto parliamo delle armi utilizzabili nell’ambito della normale stagione venatoria: la carabina è consentita solo in casi eccezionali e soltanto negli A.T.C. ove sia stato stilato un piano di abbattimento quali/quantitativo (ovvero si è stabilito quanti adulti e quanti giovani abbattere, il loro sesso, ecc.). In pratica la scorsa stagione si è tirato con il canna rigata solo in Valle Stura; sul resto del territorio era obbligatorio l’uso del fucile a canna liscia.

Per questa stagione venatoria non è stato stabilito alcun quorum di abbattimento: l’unico limite è costituito dal numero di cinghiali prelevabili (la ciascun cacciatore, che può incarnierare nel corso cella stagione dieci animali. In pratica si andrà avanti ad oltranza fino alla metà di dicembre, visto che quest’anno la stagione al cinghiale è stata anticipata alla metà di settembre per venire incontro alle esigenze degli agricoitori che temevano le scorribante alimentari dei cinghiali proprio nel momento della maturazione finale dei vitigni (la legge Regionale 8 giugno 1989 n.36 prevede comunque all’articolo10 il risarcimento dei danni causati alle coltivazioni agricole dall’azione della fauna selvatica.II sistema di caccia più diffuso è la battuta,ma sono consentite anche la cosidetta girata e la caccia a singolo.

Fino allo scorso anno il territorio adibito alla caccia al cinghiale non era suddiviso in zone: le squadre erano libere, di muoversi sul territorio e provvedevano all’organizzazione delle battute mediante accordi verbali. A partire da questa stagione i singoli A.T.C. ed i Comparti Alpini possono dividere il territorio in zone da affidare a singole squadre, cosa che non è stata fatta da tutti.Noi per esempio abbiamo cacciato in territorio “libero”, ovvero a disposizione di chiunque. E’ una cosa singolare (a proposito si veda il box “Cinghiali… e avvoltoi”), contraria ad ogni norma di sicurezza e povera di etica venatoria.

Una battuta in Val Maira

Sul manto di Bill,magnifico anglo-francese,i segni di un incontro ravvicinato con il re del boscoGrazie all’ospitalità della squadra di Gianluca e Bertu abbiamo potuto partecipare il 26 settembre a una battuta al cinghiale. La zona prescelta è il monte Meloi, nel comune di Piossasco, un piccolo paese posto all’imbocco della Val Maira. Nei pressi si trovano Dronero e Caraglio, due importanti comuni della campagna cuneese.
lo che ho letto molti libri sulla resistenza cuneese, sbircio i cartelli stradali e chiedo informazioni: così spiega a Gianluca, che lui a Caraglio ci vive, che nella vecchia filatura del paese, ora sottoposta a restauro perché si tratta di un edificio molto bello e particolare, tipico di quest’area ciel Piemonte, c’era il supermarket delle armi dei partigiani. Un’intera armata italiana lasciò qui il suo armamento prima di sciogliersi dopo I’8 settembre. Quei babbei dei tedeschi se ne sono accorti dopo mesi e mesi. Mentre parlo mi rendo conto che ho buttato via quattro anni all’università per studiare storia. Ormai queste cose non interessano più a nessuno, anch’io mi chiedo perché ho tirato fuori questi argomenti. Comunque facciamo amicizia e ci avviciniamo al territorio di caccia.A fianco del Meloi si trova l’ex riserva di Paian, per anni rifugio dei cinghiali della zona.

E’ rimarchevole notare come i componenti della squadra siano favorevoli ad una nuova chiusura della riserva poiché tutti sono concordi nell’affermare che sia necessaria una zona in cui gli animali selvatici  si possano riprodurre con tranquillità. In questa zona infatti il numero di cinghiali è andato progressivamente calando dopo l’apertura del Paian. Anche qui però si deve fare il conto con le richieste di danni presentate dagli agricoltori, che hanno causato l’apertura della riserva all’attività venatoria.

Uno mugugna sul fatto che talvolta i danni siano gonfiati, che i rimborsi Siano un buon sistema per farsi degli amici (in fondo ad erogarli è la provincia, governata dai politici sempre in cerca di voti), che i campi vengano seminati appositamente per farseli danneggiare dai cinghiali. Non è la prima volta che sento queste accuse in Piemonte: Donato Adduci, ex consigliere regionale e sindaco di Robassomero, un piccolo comune alle porte di Torino, afferma le stesse cose; leggerete sul prossima numero Ia sua intervista.

L’area coperta dalla battuta era molto vasta: i boschi del Meloi, ricoperti di castagni, faggi ma soprattutto pini costituiscono un territorio difficile per cacciatori e cani, che necessitano di potenti garretti e polmoni.

Mentre ci spostiamo nel bosco con una coppia di magnifici segugi anglo?francesi che continuano a battere il terreno senza dar segno di trovare le tracce ci spiega Osvaldo Lerda:”dopo tre mesi di siccità è piovuto abbondantemente per un paio di giorni.Quando si verifica questo fenomeno i processi di putrefazione, rallentati per mancanza dell’acqua, riprendono con grande intensità. Per almeno una decina di giorni i cani vengono disorientati dalla presenza di questa miriade di odori sprigionati a livello del suolo. Ecco perché i cani hanno difficoltà a trovare le tracce: solo i fuoriclasse riescono a districarsi in questa miriade di segnali odorosi”.

E qui, cari lettori, scatta il tranello: Gianluca la butta lì, con noncuranza:”Conosco un luogo dove esiste un insoglio naturale. Se ce la facessi ad arrivare potresti fare delle foto molto belle …”. Io, preoccupato a scattare il maggior numero di immagini per riempire degnamente le otto pagine assegnate all’articolo, rispondo di botto, senza pensare alle conseguenze: “Perché non ci andiamo?”.
La mezz’ora successiva la passiamo ad arrampicarci per uno di quei sentieri rettilinei utilizzati dai boscaioli per far arrivare a valle Ia legna tagliata.

Mentre sbuffo maledicendo il vizio di fumare penso a quanto duro deve essere questo lavoro, che impone marce massacranti al termine delle quali inizia un’attività altrettanto impegnativa.

Stiamo passando in questa sorta di ferita nel bosco e Osvaldo mi indica le tracce dei cinghiali: “Guarda, lì c’è una “trasera” (ovvero un trattoio, un sentiero realizzato dal costante passaggio dei cinghiali), passa vicino a quegli alberi laggiù e poi porta alla “pastura” dove siamo stati prima”. lo rispondo di sì col capo, preoccupato ad immagazzinare la maggior quantità possibile di ossigeno per il resto del tragitto, di cui ignoro la lunghezza.

Finalmente arriviamo in un punto dove abbandoniamo il sentiero dei boscaioli per inoltrarci nel fitto del bosco. Intuisco che la tortura è quasi finita e quando finalmente arriviamo alla “sagna” (insoglio in piemontese) ho ancora la baldanza di fare lo spiritoso,minacciando di fotografare Osvaldo mentre si leva i pantaloni per sfilarsi la calzamaglia.

In effetti ora fa proprio caldo, infatti mi levo anche il maglione, così avrò qualcosa in più da portare indietro, lo zaino l’ho lasciato in macchina.La foto dell’insoglio la vedete, a me sembra interessante: si vede la pozza fangosa e l’azione abrasiva dei cinghiali sull’ albero. Osvaldo mi indica le tracce del catrame che ha messo sul tronco.E’ noto che i cinghiali apprezzano sfregarsi sugli alberi spalmati di questo materiale. Il tutto ha la sua bellezza, perché è frutto dell’azione naturale dei cinghiali.E” stato Bertu a trovare qualche anno fa l’insoglio, che ora di tanto in tanto riceve il suo apporto di catrame (azione peraltro inutile, poiché sono stati i cinghiali a scegliele quel posto e molto difficilmente lo abbandoneranno).

Lo sfregamento continuo dei cinghiali ha letteralmente consumato il tronco di quest'alberoGianluca molla gli anglo-francesi, che si inoltrano nel bosco seguendo una traccia precisa. Lei sentiamo abbaiare a lungo, poi scollinano e li perdiamo. E’ il momento di scendere. La caviglia che mi sono infortunato con Diego il 14 agosto mi dà qualche fitta. Mi sembra di essere goffo nei movimenti come l’omino Michelin e mi rendo conto della diversa preparazione fisica di Gianluca e Osvaldo che sgambettano come camosci.

Mentre scendiamo senza i cani partiva via radio la notizia tanto attesa. Dall’altro versante gli ariégeois di Adriano hanno spinto un cinghiale alle poste.A fulminarlo è Dennis , figlio di Adriano. A 18 anni ed è alle prime esperienze. Oggi è il suo secondo giorno di caccia e la settimana scorsa ha catturato un altro cinghiale: ha un Benelli senza tacca , di quelli dalla caccia mista, è veramente un tiratore formidabile.

Osservò la ferita e trovo un buco unico, fatto a otto.Dennis ha sparato due colpi e li ha infilati in un solo foro! Sulla pelle del cinghiale, che peserà sui 40 chili, si vede anche una cicatrice fresca, causata da un colpo di striscia. Si tratta probabilmente del maschio a cui Dario ha sparato una settimana prima: lo ha visto cadere, ma poi si è rialzato ed è sparito. Certo che questi animali hanno una vitalità e un metabolismo straordinari: la pelle strappata è quasi del tutto emarginata, non vi è traccia di infezioni!.

È strana questa caccia: per chi è abituato alle battute con 25-30 poste è una vera sorpresa, poiché non si capisce come si possa catturare dei cinghiali con dei varchi così aperti tra un cacciatore all’altro avendo un così grande territorio a disposizione.

Sono le squadre che conoscono bene la zona possono avere dei risultati soddisfacenti e la squadra di Gianluca e Bertu è costituita da gente esperta. L’età media è elevata, tuttavia non mancano i giovani che c’è anche una donna (Marisa, la moglie di Bertu). Certo qui i carnieri sono molto più limitati: se in un anno la squadra riesce prendere una trentina di cinghiali è gran festa. Quando meno dicono mi viene in mente Maurizio Ciferri , che lo scorso anno, in Maremma, con la sua squadra ha battuto in una sola giornata quello che gli amici di Cuneo catturano in un’intera stagione!.

Dennis ha abbattuto il cinghiale con un tiro precisissimo alla sua prima licenza di cacciaCi fermiamo a mangiare mentre si fa la conta dei cani che ancora mancano all’appello: sono cinque,tre ariégeois e due anglo-francesi . I cacciatori li cercheranno dopo lo spuntino. Adriano ha invece già recuperato i suoi quattro ariégeois, acquistati da Osvaldo. Faccio le foto e poi insieme a Gianluca lascio la squadra per avviarmi al suo allevamento. Passiamo davanti ad un carrello e con sorpresa vedo Bill, uno dei due anglo-francesi, nei pressi. Gianluca lo chiama e lo infila nella gabbia nel bagagliaio del nostro fuoristrada, poi sorride felice. Lui i cani li vende e sa di aver fatto una bella figura con me. II suo anglo-francese (di una rara varietà bicolore bianco-arancio) ha fatto spontaneamente ritorno al carrello; sentenzia: “per una buona caccia il recupero è importante quanto la capacità di seguire le tracce”. Non posso che dargli ragione, pensando alle incazzature di Enzo, il mio capocaccia, quando la domenica sera sa che l’indomani non potrà andare a lavorare perché abbiamo lasciato passare i cani senza fermarli.

Prima di lasciarci Gianluca mi fa vedere l’allevamento dei lupi del Grana, l’attività che conduce con il padre Osvaldo: le razze seguite sono Ariegeois, Briquet Griffon Vandéen e petit Anglo?Francesi. Spiega:”Ora che fa caldo uso gli Ariegeois. Quando arriva il freddo allora li sostituisco con i vandeani. Gli anglo francesi vanno sempre bene, sono cani straordinari, specie i miei bianco-arancio”.

Non è questo il momento di parlarvi di queste razze canine, però un consiglio lo posso dare: se vi serve un buon segugio per la caccia al cinghiale può valere la pena di andare a trovare Osvaldo e Gianluca Lerda.
Vivono a Caraglio, in provincia di Cuneo ed il loro telefono è 0171/619424

Quando ormai sono seduto in macchina Gianluca confessa: “Sai volevo vedere se eri uno di quei giornalisti che son tanto bravi con la penne ma che poi scoppiano quando li porti in montagna….” Soltanto adesso mi accorgo di aver superato una sorta di prova iniziatica.
Mentre guido verso casa sorrido pensando che in fondo, nonostante i quarantadue anni, il colesterolo alto e le sigarette me la sono ancora cavata bene.
Certo che è come diceva il buon Eduardo de Filippo:” Gli esami non finiscono mai “

 

 

I nostri cani

Alpina dei Lupi del Grana,anglo francese bianco arancio

I nostri cani

Articolo di Massimo Scheggi apparso sulla rivista "DIANA Caccia"

Che bravi! Mi hanno mandato dei cioccolatini niente male, anzi eccezionali. Dei cuneesi a tutto ripieno. Dice che mi leggono con piacere sulla rivista e nella mia grande opera» sui Segugi. Grazie. Non importava. Fa piacere però. Ora magari qualcuno dirà che mi faccio comprare per dei cioccolatini. Niente meno. Il fatto è piuttosto che Osvaldo e Gianluca Lerda (padre e figlio) allevano con successo dal 1968.Che cosa allevano? Segugi francesi. Tutti?. No, sarebbero troppi. Diciamo allora che sono specializzati, come dicono loro, in ariégeois, briquet grfffon vendéen e anglo francesi de petite vénerie. E specializzati significa, lo diciamo noi, che soprattutto dagli anni Novanta in poi hanno ottenuto grossi risultati nelle prove di lavoro su cinghiale (ma anche in esposizione) soprattutto con gli ariégeois. E’ il caso di citare quelli del compianto Gabriello Santori di Lucca. di Doriano Damiani di Siena e di Marco Barbanera di Perugia. E poi, si trotti di ariégeois, anglos o di vandeani, hanno fatto felici molti cacciatori.Ma sentiamo cosa ha da direi il giovane Gianluca Lerda, diplomato come perito elettrotecnico, che è un po' l'Aronne della situazione. portavoce cioè anche di Osvaldo. Intanto una premessa: l'amore per i segugi francesi, meglio gli chiens courants. è venuta ai Lerda dal frequentare la Provenza francese dove risiedono alcuni parenti. Ancoro adesso in Francia si recano Osvaldo e Gianlura quando ritengono il caso dl rinfrescare alcune linee di sangue. Il collage di tutto questo, evidentemente,è rappresentato dalla passione per la caccia. Prima praticata soprattutto sulla lepre e poi sul cinghiale, da quando questo ungulato si è molto diffuso anche in Piemonte.

I primi segugi che abbiamo allevato sono stati « i primi ariégeois e i briquet griffon vendéen. Nel 1968 ottenemmo l'affisso Lupi del Grana, poi nel 1982 ci trasferimmo dove attualmente abitiamo, a Caraglio (Cuneo) e, dopo l'ampliamento del canile, aumentò anche il numero delle razze selezionate, con la scopetta di un segugio di grandi qualità fisiche e venatorie: Alpina dei Lupi del Grana,anglo francese bianco aranciol'anglo français de petit vénerie. Iniziammo con una femmina eccezionale, Alpina, della quale conserviamo ancora la linea di sangue. All'inizio mio padre, per farsi meglio conoscere, si dedicava alle esposizioni e a qualche prova di lavoro. Non abbiamo però mai tralasciato la caccia quale linea guida e selezione principale del nostro allevamento. Quando questa termina iniziamo l'addestramento dei più giovani in riserve a nostra disposizione e in aree addestramento cani. I nostri soggetti sono insomma sempre sotto, da soli o in muta, sia sulla lepre che sul cinghiale, e le femmine non vengono adibite alla riproduzione prima dei due anni e mezzo/tre, finché cioè non abbiano dimostrato di avere valide caratteristiche venatorie. Così facendo abbiamola convinzione dì ridurre al minimo le eventuali sorprese per quanto riguarda i cuccioli.Comunque facciamo accoppiamenti mirati e non in consanguineità, disponendo di varie correnti di sangue. I cuccioli prodotti annualmente sono circa 30 per. gli ariégeois e altrettanti per i briquet griffon vendéen, un po' meno per gli anglo francesi». Sentiamo adesso da Gianiuca quali sono le caratteristiche principali delle razze allevate dal padre e da lui. “Secondo noi l'ariègeois é ottimo ausiliare sulla lepre.Segugio di metodo in pastura, naso fine, risolve bene i falli ed è di buon collegamento e rientro. Tutte e tre le razze da noi allevate, cerchiamo di selezionarle nei canoni dello standard anche per quanto riguarda il timbro della voce che deve rimanere tipico, diverso per per razza. Propendiamo anche per una taglia contenuta, pur sempre nei limiti previsti dallo standard, perchè ci siamo accorti che un segugio più leggero ma ben costuito, è più elegante e di buon rientro. I cani pesanti, lamentando di più le fatiche della battuta, rientrano peggio. Nella selezione dell'ariégeois abbiamo cercato soggetti di grinta e carattere per la impegnativa caccia al cinghiale. Queste doti sono fondamentali per la riuscita di un buon cane da seguita da usare sull''ungulato. Se comunque un ariégeois lo specializzi su un certo selvatico, non ti deluderà inseguendo altri animali. Per quanto riguarda il vandeano, qui siamo di fronte davvero ad uno specialista sul cinghiale, a un cinghialaio per eccellenza. Noi crediamo molto nella taglia del briquet, dai 50 ai 55cm al garrese, selezionato però con voce del grande vandeano. Rispetto a quest'ultimi briquet sono chiens courants più collegati e di buon rientro.

Noi insistiamo su questa caratteristica, perchè alla fine della battuta, quando gli altri cacciatori hanno finito e se ne vanno, i canottieri devono rimanere alla ricerca dei cani. Blanco Ariégeois capomuta da cinghiale.Blanco è figlio di  Diana dei Lupi del GranaQuelli di fisico più minuto ma resistente, quelli più intelligenti rientrano da sé, al punto in cui sono stati sciolti o al carrello, ma altri, soprattutto nella taglia del grand non conoscono rientro e questo ti fa impazzìre. Un buon segugio da cinghiale deve dare la voce in passata, seguire le tracce fino al covo, abbaiate bene a fermo, inseguire a fondo, però quando la battuta è finita deve rientrare. E' importante quindi selezìonare anche sotto questo aspetto. Per quanto riguarda l'anglo francese, noi abbiamo due linee di sangue che per semplicità si distinguono trai colori bianco arancio tricolore. Si tratta di un segugio veloce, di ottimo olfatto, elegante e intrapendente, di abbaìo piacevole, adatto indifferentemente a cacciare sia la lepre che i conigli selvatici, come il cinghiale. Lavora di iniziativa, è rapido a trovare il filo dell'uscita della pastura e andare allo scovo, senza per forza cadere in fallo., Per la sua rapidità e scaltrezza, lo consigliamo a quei cacciatori che usano segugi veloci sulla seguita come, ad esempio, il segugio italiano a pelo raro, oppure i maremmani o certi segugi slavi. Perché di tutte le razze transalpine, l'anglo francese è quello che può inserirsi meglio in mute anche non omogenee, di soggetti cîoè della stessa razza (anche se questa soluzione rimane migliore). Infatti mantiene lo stesso passo, si adegua cioè alle varie esigenze e ai diversi compagni. È po' come per i cioccolatini. Quelli di Firenze son buoni, ma ci si adegua anche a quelli di Cuneo. Sperar che si capisca l'ironia toscana.

I segugi francesi di Osvaldo e Gianluca

Gianluca e Osvaldo con due bei esemplari di ariégeois:pongo e dick

Articolo tratto da “La Caccia al Cinghiale” n°19 -Maggio Giugno 2004

 Gianluca e Osvaldo con due bei esemplari di ariégeois:pongo e dick

Questa volta, nel nostro giro tra gli allevatori di cani per la caccia al cinghiale, andiamo in Piemonte, per la precisione a Caraglio, un piccolo centro a pochi chilometri da Cuneo. Meta del nostro viaggio è l’allevamento “Dei Lupi del Grana”, di Osvaldo e Gianluca Lerda. Le razze da loro prescelte sono essenzialmente tre: l’Ariegeois, il Vandeano ed il segugio Anglo-francese. Entrambi sono cacciatori di cinghiale ed Osvaldo coltiva anche la passione per la lepre.
Ma lasciamo che siano loro a raccontarci del loro lavoro:
“La nostra professione è nata sull’onda della passione” afferma Osvaldo. “Da giovane mi recavo spesso per lavoro in Francia ed iniziai ad innamorarmi dei segugi francesi. A quei tempi la caccia era un lusso, soprattutto con segugi di razza pura. In Piemonte mi dedicavo alla lepre, mentre cacciavo il cinghiale con la squadra di Armo, in provincia di Imperia. Sono tempi che ricordo con grande piacere. Si trattò di una grande palestra per i miei segugi. In Piemonte iniziammo a cacciare il cinghiale negli anni Ottanta, solo a novembre. Prima solo lepre e penna”.
Nel 1968 Osvaldo ottenne l’affisso di allevatore Enci dei “Lupi del Grana”. La sua selezione era basata essenzialmente su due razze, il vandeano e I’ariegeois ma nel 1985 Osvaldo acquista Alpina, una femmina bianco arancio, e Batù, un maschio tricolore di segugio anglo-francese: è il classico colpo di fulmine che conquista l’allevatore che inizia così a selezionare anche questa razza.
Ma la famiglia si allarga e ad Osvaldo si affianca Gianluca, anche lui grande appassionato dì segugi e di caccia: “Credetemi, non c’è niente di più emozionante per un cacciatore che il riuscire a fermare il selvatico scovato e seguitato con tanto ardore da una muta da lui allevata ed addestrata. – afferma Gianluca che prosegue – “II tutto non lo si fa per la carne, ma per premiare il lavoro rischioso e faticoso dei segugi. Sono momenti che mi fanno rabbrividire, mi danno soddisfazioni immense e mi fanno sentir fiero di essere un cacciatore”.
Dagli anni Novanta Osvaldo e Gianluca, padre e figlio, lavorano insieme e selezionano segugi francesi. Il loro nome ed i loro cani sono noti in tutta Italia ed hanno contribuito a rinsanguare le selezioni di tanti personaggi ben noti nel mondo dei segugi per la caccia al cinghiale, quali ad esempio Marco Barbanera e Doriano Damiani. Gianluca è anche il capocaccia di una squadra locale, fatto che gli consente di selezionare dei segugi particolarmente adatti alla caccia il cinghiale: “Da quando lavoro con mio padre dedico tutto me stesso ai segugi francesi. L’obiettivo che ci prefiggiamo è quello di scoprire, attraverso accoppiamenti mirati tra non consanguinei, delle nuove correnti di sangue, di grande carattere e riuscita venatoria”.
Infine una considerazione su come si allevano i segugi: “Siamo convinti- afferma Gianluca – che nel segugio,se ha sangue buono e voglia di lavorare,la sua riuscita si rispecchi sempre nelle qualità del padrone. Più lui ha pazienza di seguirlo sin da giovane nelle fasi addestrative, senza bruciare le tappe e dandogli il tempo necessario, facendolo lavorare su diversi terreni per farlo maturare nell’esperienza, più ci sono possibilità di ottenere dei buoni risultati e delle grandi soddisfazioni”.
 I Lerda con alcuni cuccioli di ariégeois


I segugi francesi parlano italiano

anglo-francese_alpina

Articolo di Alex Guzzi tratto dalla rivista “Il cacciatore italiano”

Nascono ai piedi delle Alpi piemontesi Briquet Griffon Vandéen,Petit Anglo-Français e Ariégéois, le tre razze di massima attualità nella caccia con cani da seguita

anglo-francese_alpina La grande tradizione della caccia con cani da seguita ha la propria patria in Francia, dove sin dal 1500 si è curata la selezione di razze e correnti di sangue specifiche per ogni tipo di selvatico. Tra le tante razze di origine francese sono venute recentemente alla ribalta con grande evidenza anche in Italia i Briquet Griffon Vandéen, i Petit Anglo-Français e gli Ariégéois. II Briquet Griffon Vandéen è il cane da cinghiale per eccellenza: il vandeano gode da sempre di una popolarità senza macchia, sostenuta da una diffusione altrettanto importante. II briquet griffon, robusto e tenace, è legato strettamente alla regione d’origine. la Vandea, al punto di essere definito semplicemente Vandeano. II Petit anglo francese ha una storia più complessa: fino gli anni `80, alcuni selezionatori crearono con il poitevin una taglia più grande, che diede origine ai Grand Anglo che misuravano oltre i 55/58 cm. Si trattava di cani veloci ma con caratteristiche venatorie non idonee al nostro metodo di caccia e al tipo di collegamento richiesto oggi. La taglia petit nasce dalla selezione successiva all’immissione di sangue del porcelaine: i cani di questa razza con dimensione tra i 48 e i 52 centimetri e peso tra il 15 e 29 kg hanno occhi nocciola scuro, orecchie ricadenti, coda portata fieramente a falce, pelo liscio, mantello tricolore bianco, nero e arancio (ma sono ammessi anche in colore bianco-nero e bianco-arancio), e possiedono un carattere furbo, coraggioso, instancabile e ubbidiente. briquet_aluLa denominazione Ariégéois, infine, risale alle origini di una razza nata dall’incrocio tra selezionati briquet dell’Ariegeois con stalloni Gascon e Gascons Saintongeois appartenenti alle mute locali. Col tempo l’Ariégéois ha guadagnato molto sotto il profilo dell’omogeneità rispetto all’originario mezzosangue: elegante nella sua veste bianca, l’Ariégéois seduce a prima vista, ma sono le sue doti venatorie e le sue abilità nelle situazioni più difficili che lo fanno apprezzare dai cacciatori. La limitata diffusione della razza ha fatto sì che questi cani siano stati affiliati ai più numerosi Club Chien du Gascogne e Gascon Saintongeois, come avviene oggi in Italia, dove l’Ariégéois é affiliato al Club italiano de Gascogne. Fino a pochi anni fa questi cani erano noti solo ai veri intenditori, ora rappresentano il sogno (possibile) di molti appassionati della caccia con cani da seguita: dal 1968, infatti, grazie a Osvaldo e Gianluca Lerda, queste apprezzate razze francesi sono presenti in Italia con l’affisso Enci “Dei Lupi del Grana” con sede a Caraglio (Cn). In trentasei anni di vita l’allevamento “Dei Lupi del Grana” ha conseguito ottimi risultati sia nelle competizioni che nella produzione di ottimi soggetti venatori. La grande importanza dei segugi “Dei Lupi del Grana” è legata strettamente alla caccia con cani da seguita al cinghiale per cui le razze Briquet Griffon Vandéen, Petit Anglo-Français e Ariégéois rappresentano la massima attualità nel settore: l’allevamento Lerda ha selezionato, allevano e addestrano solo le migliori correnti di sangue di queste tre razze, e dispongono anche quest’anno di alcuni interessanti soggetti da destinare all’attività venatoria.Alex_pongo

Chi siamo

foto Osvaldo e Gianluca Lerda
Ci presentiamo come “allevamento segugi francesi da “sangue e seguita” ‘per la caccia alla lepre e al cinghiale. Dal 1968 abbiamo questa gestione solo su razze francesi con affisso ENCI “Dei lupi del Grana” di Lerda Osvaldo e Gianluca,sito in Caraglio (CN).
In questi ultimi anni abbiamo raggiunto ottimi risultati sul lavoro e sull’esposizioni. Sono due anni consecutivi che una muta del nostro sangue di sei segugi francesi Ariégeois, condotti da Marco Barbanera, si impone prima nella prova di lavoro sul cinghiale per il Campionato italiano di club per razze estere il 14 maggio 2000 a Lucca, abbinando l’eccellente di coppia in esposizione a Malpaga (BG). Quest’anno la stessa muta si è piazzata prima al Campionato italiano razze estere lavoro sul cinghiale, il 6 maggio 2001 a Masone (GE), abbinando l’eccellente di coppia a Cerea (VR) il 20 maggio 2001, ma già si era imposta seconda al Campionato italiano seguita cinghiale, organizzato per la prima volta dal F.I.D.A.S.C. su una selezione per tutte le regioni d’Italia; la finale si è svolta su terreno libero a Monticiano Siena l’8 aprile 2001. Infine un particolare ringraziamento a Nova Foods che, con i suoi alimenti di qualità, permette ai nostri cani di essere sempre in splendida forma, agili e scattanti.
foto Osvaldo e Gianluca Lerda

La passione di Osvaldo e Gianluca Lerda

foto_caccia

Articolo di Giancarlo Mancini tratto dalla rivista “Diana Caccia”

Tutto nasce dai viaggi estivi di Osvaldo Lerda, quando da ragazzino, nel Midì della Provenza (Francia ) in compagnia delle zie, conobbe dapprima i meravigliosi ariégeois, per cui, iniziato in Italia l’allevamento, ebbe subito dall’Enci l’affisso «dei Lupi del Grana». Dagli anni ’90, al lavoro di famiglia si è anche inserito il figlio Gianluca, impegnandosi a selezionare diverse linee di sangue di cani «capimuta» delle tre razze, che fa lavorare sia a lepre che a cinghiale, perché ha aggiunto anche i griffon vandéen
ed i petit anglo francesi. La passione scaturì perché 1’ariégeois, sul terreno di caccia, è un segugio di grande duttilità venatoria e dal perfetto collegamento al filo della traccia e da innato buon metodo,tanto che lo si può addestrare con facilità sia sulla lepre che sul cinghiale; se il ceppo di sangue è valido e proviene da soggetti selezionati nel lavoro, il risultato è sempre ottimale. Il segugio che sa condurre la traccia della lepre, sarà anche validissimo sul cinghiale a causa dell’emanazione più forte e della traccia, sull’uscita dalla pastura, unica e diritta.
Gianluca così ci ha spiegato il loro modo di allevare: «Sulla visione di diversi bravi soggetti, la nostra attenzione è sempre andata verso quel riproduttore con tante qualità riunite insieme, un Campione doc che deve avere buona voce in pastura, soprattutto se sono passate tante ore da quando il selvatico è fuggito dal covo, un cane che sulla passata non deve perdersi e se va in fallo, nel caso della lepre, è bene che riprenda il filo della matassa e vada allo scovo, anche mettendoci più tempo; la sua seguita sia sicura e incalzante, in modo consecutivo, tenendo la muta compatta e vigorosa. Oltre queste peculiarità, vogliamo che il carattere sia forte e non timido (per evitare la paura del colpo di fucile e della buscata da cinghiale) senza però essere mordace. Il riproduttore – continua Gianluca – deve dimostrarsi intelligente, tanto che nella situazione di tine battuta, ovunque si trovi, deve avere il senso di orientamento e rientrare sui suoi passi, dove è stato sciolto o sceso dalla macchina. In caso di ritardo, metteremo una coperta o un indumento che conservi il nostro odore, perché il cane, una volta che lo abbia rintracciato, rimanga ad attendere il nostro ritorno. foto_caccia

Quelle elencate – continua – sono solo alcune delle caratteristiche selettive che pretendiamo dal capomuta, che sia maschio o femmina e che viene scelto per la riproduzione, e solo così, il problema dello scarto e della non riuscita in un cucciolo, nato da genitori che portano diverse linee di sangue. sarà ridotto al minimo. Un allievo di sei-sette mesi d’età – puntualizza Gianluca che, sciolto nei terreni di caccia, dimostri un collegamento con il conduttore e l’ istintiva volontà di lavorare cercando la lepre, e poi, intorno ai 12-15 mesi, si dimostri attivo in muta nela caccia al cinghiale, è quello che ricerchiano nei prodotti del nostro allevamento». Gianluca dà anche alcune indicazioni per la sua educazione venatoria: «Per la lepre, il cucciolo si può anche far lavorare da solo, affinché tiri fuori il metodo di cerca sull’incontro e sempre col naso in terra, ma poi, dopo che abbia raggiunto una maturità psico-fisica e aver compiuto Fanno e mezzo d’età, si passa alla caccia al cinghiale, in genere con ottimi risultati. Questo perché l’allievo è stato introdotto gradualmente nel lavoro senza bruschi impatti, che bruciano sempre le in­nate qualità venatorie, come buscare nel recinto degli ungulati o altri disguidi del genere. Un punto della massima importanza
che l’addestratore-conduttore usi tanta pazienza massimatnente dia tempo al tempo, in modo che il giovane segugio possa esprimersi in base alla maturità e all’esperienza raggiunte con l’inserimento nella sua mente dei metodi d’addestramento che gli vengono impartiti». Bisogna quindi essere orgogliosi – continua il nostro interlocutore – per ogni piccolo progresso del cucciolone (per esempio: saltare i fossi, evitare gli intralci dei rovi spinosi, sapersi difendere nel bosco più fitto ecc.) senza per questo pretendere che faccia il fenomeno fin dai primi tetripi della scuola. Noi siamo soliti dire che il segugio è lo specchio dei cacciatore che lo sta addestrando, per cui, se non lo segui con cuore e passione, non potrai mai pretendere che all’apertura della caccia ti scovi la lepre o rimanga legato in muta durante la canizza al cinghiale. Insomma – conclude Gianluca – il segugio è come un figlio ed il sacrificio di seguirlo e di aiutarlo nella crescita sarà contraccambiato dal suo affetto e dalla certezza della riuscita venatoria».

 


Al cinghiale con ariégeois e vandeani

articolo tratto da “Diana Caccia”di Massimo Scheggi

I cani da seguita stranieri

Gli chiens courants stanno per essere sostituiti dai segugi maremmani nella caccia al cinghiale? La domanda provocatoria dipende dai fatto che ostra razza, ormai riconosciuta ufficialmente, sta prendendo sempre campo fra le squadre dei cinghialai. I numeri però sono lì a riaffermare diffusione delle razze da seguita straniere e la loro validità.
Come ci racconta Gianluca Lerda

E ora come la mettiamo? No, dico, dopo il riconoscimento del segugio maremmano, ma soprattutto dopo che questo ha dimostrato la sua valentia sul cinghiale. Mi giunge voce che alcuni stanno abbandonando le razze da seguita straniere a favore del nostro cane. Che c’entra’ Gli è che varie volte ho affermato come il diffondersi di razze straniere da seguita nel nostro Paese, è dipeso dallo sviluppo della caccia al cinghiale. Che cioè in molti casi si è preferito al nostro segugio italiano delle razze estere già abituate a cacciare gli ungulati. Ora si tornerebbe alla cinofilia italica, visto che il segugio maremmano non ha niente da invidiare, riguardo ormai anche alle carte, a razze ben più onuste di storia e pure di gloria. Perché va rilevato (sia detto fra parentesi) che il segugio maremmano si sta pure affinando nelle forme, migliora morfologicamente, in una parola: è più razza. L’ho del resto potuto constatare al raduno di segugi maremmani e piccoli lepraioli italiani che si è tenuto a Ruralia il 29 maggio scorso. Duecento soggetti dalle caratteristiche morfologiche notevoli, quasi tutti riconosciuti, con tanto di complimenti da parte dei giudici Giuseppe Gramignoli e Giuseppe Mozzi. Ebbene, alcuni dei cinghialai presenti che fino a qualche anno fa avevano segugi esteri, adesso sono passati decisamente al nostro segugio.
Queste considerazioni non sono tuttavia confortate dai numeri a livello nazionale, vale a dire dalle iscrizioni al Roi del 2003 che contano ancora molti soggetti fra gli chiens courants e altre razze estere. Vediamo un momento. Nel 2003 sono stati iscritti al Roi 960 ariégeois che ormai rappresentano la razza francese di segugi più diffusa in Italia, la quale ha scavalcato da qualche anno, a livello numerico, i briquet griffon vendéen che adesso sono 792. Seguono i petit bleu de Gascogne con 550 soggetti e gli altri bleu, i griffon, che contano 546 cuccioli. A queste vanno aggiunte poi le altre razze francesi, i bruni del Giura (334), gli istriani (300), il dachsbracke (364, in crescita continua) e non possiamo certo dimenticare il beagle (3.459), che ormai è diventato il segugio più numeroso dopo il segugio italiano a pelo raso. Stanno bene quindi i francesi. Diciamo allora che i segugi maremmani gli si affiancano degnamente.
Per conoscere comunque alcune caratteristiche di lavoro delle razze più diffuse, come l’ariégeois e il briquet griffon vendéen, abbiamo chiesto al giovane Gianluca Lerda, titolare con il babbo Osvaldo dell’allevamento de I Lupi del Grana, in quel di Caraglio (Cuneo), di raccontarci qualche episodio di caccia al cinghiale in compagnia di questi segugi. Eccone il racconto.


Ariégeois o vandeani ? ,Purchè siano francesi

La selezione per un segugio DOC che diventi nel nostro caso un buon riproduttore per l’allevamento, non è tanto semplice, perché, oltre alla morfologia più tipica, deve soprattutto dimostrare delle grandi qualità venatorie e caratteriali che saranno doti fondamentali per la trasmissione genetica ai cuccioli. Il territorio di caccia del cuneese è molto selettivo, nel senso che non vi è alta densità di selvatici, lepri e cinghiali. Inoltre il cinghiale dalla pastura della notte fa molta strada nel sottobosco delle nostre vallate (dai 1.000 ai 1.200 me­tri di altitudine) prima della rimessa. In questi casi il segugio deve per forza di cose lavorare naso a terra e usare tutto il suo olfatto per rilevare la traccia lunga prima di raggiungere il covo dei cinghiali. Certe volte ci è capitato che, tracciando una zona o comunque facendone il perimetro, magari nei mesi di settembre/ ottobre. quando i terreni sono asciutti e duri e pertanto occorre affidarsi a un cane, di non rilevare niente. Mi è successo però che rifacendo la stessa tracciata con soggetti esperti, ho constatato che invece gli animali c’erano, quelli che nella notte avevano vagato in quei posti. Ma quando trascorrono 12/14 ore su uno sterrato duro, in situazioni climatiche quasi estive, solo un segugio di grandi qualità olfattive è in grado di fare la differenza, tracciando al guinzaglio e portandoti allo scovo. Una situazione da ricordare come esempio è questa: in una battuta a cinghiali. al mattino, sull’incontro della pastura notturna, alcuni ariégeois pren­dono la direzione dei selvatici e vanno fuori zona. Ma io tenendo legata la Diana, un altro ariégeois, entro in una macchia fitta circostante la zona già battuta. La Diana alza subito la testa e dà la voce. Lo aveva preso a vento. Sciolgo il cane che fa alzare un cinghiale che poi viene abbattuto alle poste. Nella stessa mattinata mio padre mi comunica via radio di voler cambiare zona e batterla con dei vandeani freschi. Io però non sono convinto e voglio ritentare ancora dove la Diana aveva alzato il cinghiale. Con tre vandeani legati a guinzaglio, ripercorro gli stessi territori. I segugi iniziano a dare la voce già dalla pastura, li sciolgo nelle macchie e cominciano a salire il vallone con un cinghiale davanti che viene anch’esso abbattuto alla posta. Va rilevato del resto che il cane esperto, e in questo caso soprattutto i vandeani, va a volte di naso come fosse un cane da ferma e avventa i cinghiali an­che da grosse distanze. Una grande soddisfazione per me, perché gli anziani, dall’alto della loro esperienza, credono che se un giovane fa di testa sua. abbia sempre torto. Quell’esperienza mi fece monito che quando si trova un cinghiale in una zona, prima di lasciarla è bene essere sicuri che non ci siano altri animali. In effetti se in una rimessa ci sono diversi cinghiali, i segugi fanno la seguita su quelli che si alzano e corrono, mentre il cinghiale più smaliziato e picchiatore a volte non si muove. In questa situazione, ripassando una seconda volta, c’è la possibilità di rimettere in piedi altri cinghiali. Nell’ultimo giorno di caccia dell’anno scorso, la mattina, con gli ariéoeois si prese un bel maschio di cinghiale. Nel pomeriggio mio padre decide, con due briquet griffon vendéen, di andare in una zona soleggiata, di vegetazione bassa, con molti rovi e spinaie nella parte centrale del monte. Io mi tenni più in basso, dove c’è un ìnsoglio circondato da pini, nel quale i cinghiali si impiastricciano e poi si strofinano all’albero più grande (in dialetto piemontese la sagna). Avevo con me Rocki, il vandeano capomuta, che poi è anche il riproduttore del nostro allevamento. Lo tenevo legato con guinzaglio lungo. per essere sicuro di scioglierlo sulla traccia giusta. Quella notte i cinghiali non erano stati all’insoglio. Proseguo a zig zag nel fitto del bosco, fino alla cresta della montagna e sciolgo Rocki. Il vandeano subito si allunga nella cerca fino a non vederlo più. A un tratto sento in lontananza un urlo impressionante, tipico dei vandeani. Aveva preso i cinghiali di vento. A trecento metri il cane era ad abbaiare a fermo davanti, anzi quasi sopra, ad una prunaia fittissima e, come fosse uno sciame d’api, da quegli spini cominciarono a sparpagliarsi a ventaglio 7 cinghiali che subito il vandeano prese a inseguire in canizza. Anche mio padre. più lontano, scioglie allora i suoi due vandeani che subito vanno dietro a Rocki. Avviso i postaioli di stare attenti. Vennero abbattuti due cinghiali, ma i vandeani proseguirono nell’inseguimento di quelli che avevano passato le poste. A conclusione di queste brevi esperienze voglio semplicemente dire che una buona cacciata è tutto merito del cane. È lui che grazie alle sue qualità olfattive, alla sua iniziativa, alla sua passione, si inventa in alcuni casi la riuscita della battuta. Lo scovo pomeridiano che ho raccontato, fu appunto un’invenzione di Rocki. Quando pensi che ormai la caccia per un giorno sia finita e poi invece ti accorgi che, per me­rito di un cane, le emozioni più belle sono ancora
da vivere, ebbene non puoi che amare sempre più questo sport di natura e segugio. E io ringrazio i miei cani, gli ariégeois. i vandeani come gli anglo francesi, che riescono a farmi vivere queste emozioni. No, non c’è pericolo che queste razze vengano sostituite da altre».
Parola di un giovane esperto.