I segugi francesi di Osvaldo e Gianluca

Gianluca e Osvaldo con due bei esemplari di ariégeois:pongo e dick

Articolo tratto da “La Caccia al Cinghiale” n°19 -Maggio Giugno 2004

 Gianluca e Osvaldo con due bei esemplari di ariégeois:pongo e dick

Questa volta, nel nostro giro tra gli allevatori di cani per la caccia al cinghiale, andiamo in Piemonte, per la precisione a Caraglio, un piccolo centro a pochi chilometri da Cuneo. Meta del nostro viaggio è l’allevamento “Dei Lupi del Grana”, di Osvaldo e Gianluca Lerda. Le razze da loro prescelte sono essenzialmente tre: l’Ariegeois, il Vandeano ed il segugio Anglo-francese. Entrambi sono cacciatori di cinghiale ed Osvaldo coltiva anche la passione per la lepre.
Ma lasciamo che siano loro a raccontarci del loro lavoro:
“La nostra professione è nata sull’onda della passione” afferma Osvaldo. “Da giovane mi recavo spesso per lavoro in Francia ed iniziai ad innamorarmi dei segugi francesi. A quei tempi la caccia era un lusso, soprattutto con segugi di razza pura. In Piemonte mi dedicavo alla lepre, mentre cacciavo il cinghiale con la squadra di Armo, in provincia di Imperia. Sono tempi che ricordo con grande piacere. Si trattò di una grande palestra per i miei segugi. In Piemonte iniziammo a cacciare il cinghiale negli anni Ottanta, solo a novembre. Prima solo lepre e penna”.
Nel 1968 Osvaldo ottenne l’affisso di allevatore Enci dei “Lupi del Grana”. La sua selezione era basata essenzialmente su due razze, il vandeano e I’ariegeois ma nel 1985 Osvaldo acquista Alpina, una femmina bianco arancio, e Batù, un maschio tricolore di segugio anglo-francese: è il classico colpo di fulmine che conquista l’allevatore che inizia così a selezionare anche questa razza.
Ma la famiglia si allarga e ad Osvaldo si affianca Gianluca, anche lui grande appassionato dì segugi e di caccia: “Credetemi, non c’è niente di più emozionante per un cacciatore che il riuscire a fermare il selvatico scovato e seguitato con tanto ardore da una muta da lui allevata ed addestrata. – afferma Gianluca che prosegue – “II tutto non lo si fa per la carne, ma per premiare il lavoro rischioso e faticoso dei segugi. Sono momenti che mi fanno rabbrividire, mi danno soddisfazioni immense e mi fanno sentir fiero di essere un cacciatore”.
Dagli anni Novanta Osvaldo e Gianluca, padre e figlio, lavorano insieme e selezionano segugi francesi. Il loro nome ed i loro cani sono noti in tutta Italia ed hanno contribuito a rinsanguare le selezioni di tanti personaggi ben noti nel mondo dei segugi per la caccia al cinghiale, quali ad esempio Marco Barbanera e Doriano Damiani. Gianluca è anche il capocaccia di una squadra locale, fatto che gli consente di selezionare dei segugi particolarmente adatti alla caccia il cinghiale: “Da quando lavoro con mio padre dedico tutto me stesso ai segugi francesi. L’obiettivo che ci prefiggiamo è quello di scoprire, attraverso accoppiamenti mirati tra non consanguinei, delle nuove correnti di sangue, di grande carattere e riuscita venatoria”.
Infine una considerazione su come si allevano i segugi: “Siamo convinti- afferma Gianluca – che nel segugio,se ha sangue buono e voglia di lavorare,la sua riuscita si rispecchi sempre nelle qualità del padrone. Più lui ha pazienza di seguirlo sin da giovane nelle fasi addestrative, senza bruciare le tappe e dandogli il tempo necessario, facendolo lavorare su diversi terreni per farlo maturare nell’esperienza, più ci sono possibilità di ottenere dei buoni risultati e delle grandi soddisfazioni”.
 I Lerda con alcuni cuccioli di ariégeois


I segugi francesi parlano italiano

anglo-francese_alpina

Articolo di Alex Guzzi tratto dalla rivista “Il cacciatore italiano”

Nascono ai piedi delle Alpi piemontesi Briquet Griffon Vandéen,Petit Anglo-Français e Ariégéois, le tre razze di massima attualità nella caccia con cani da seguita

anglo-francese_alpina La grande tradizione della caccia con cani da seguita ha la propria patria in Francia, dove sin dal 1500 si è curata la selezione di razze e correnti di sangue specifiche per ogni tipo di selvatico. Tra le tante razze di origine francese sono venute recentemente alla ribalta con grande evidenza anche in Italia i Briquet Griffon Vandéen, i Petit Anglo-Français e gli Ariégéois. II Briquet Griffon Vandéen è il cane da cinghiale per eccellenza: il vandeano gode da sempre di una popolarità senza macchia, sostenuta da una diffusione altrettanto importante. II briquet griffon, robusto e tenace, è legato strettamente alla regione d’origine. la Vandea, al punto di essere definito semplicemente Vandeano. II Petit anglo francese ha una storia più complessa: fino gli anni `80, alcuni selezionatori crearono con il poitevin una taglia più grande, che diede origine ai Grand Anglo che misuravano oltre i 55/58 cm. Si trattava di cani veloci ma con caratteristiche venatorie non idonee al nostro metodo di caccia e al tipo di collegamento richiesto oggi. La taglia petit nasce dalla selezione successiva all’immissione di sangue del porcelaine: i cani di questa razza con dimensione tra i 48 e i 52 centimetri e peso tra il 15 e 29 kg hanno occhi nocciola scuro, orecchie ricadenti, coda portata fieramente a falce, pelo liscio, mantello tricolore bianco, nero e arancio (ma sono ammessi anche in colore bianco-nero e bianco-arancio), e possiedono un carattere furbo, coraggioso, instancabile e ubbidiente. briquet_aluLa denominazione Ariégéois, infine, risale alle origini di una razza nata dall’incrocio tra selezionati briquet dell’Ariegeois con stalloni Gascon e Gascons Saintongeois appartenenti alle mute locali. Col tempo l’Ariégéois ha guadagnato molto sotto il profilo dell’omogeneità rispetto all’originario mezzosangue: elegante nella sua veste bianca, l’Ariégéois seduce a prima vista, ma sono le sue doti venatorie e le sue abilità nelle situazioni più difficili che lo fanno apprezzare dai cacciatori. La limitata diffusione della razza ha fatto sì che questi cani siano stati affiliati ai più numerosi Club Chien du Gascogne e Gascon Saintongeois, come avviene oggi in Italia, dove l’Ariégéois é affiliato al Club italiano de Gascogne. Fino a pochi anni fa questi cani erano noti solo ai veri intenditori, ora rappresentano il sogno (possibile) di molti appassionati della caccia con cani da seguita: dal 1968, infatti, grazie a Osvaldo e Gianluca Lerda, queste apprezzate razze francesi sono presenti in Italia con l’affisso Enci “Dei Lupi del Grana” con sede a Caraglio (Cn). In trentasei anni di vita l’allevamento “Dei Lupi del Grana” ha conseguito ottimi risultati sia nelle competizioni che nella produzione di ottimi soggetti venatori. La grande importanza dei segugi “Dei Lupi del Grana” è legata strettamente alla caccia con cani da seguita al cinghiale per cui le razze Briquet Griffon Vandéen, Petit Anglo-Français e Ariégéois rappresentano la massima attualità nel settore: l’allevamento Lerda ha selezionato, allevano e addestrano solo le migliori correnti di sangue di queste tre razze, e dispongono anche quest’anno di alcuni interessanti soggetti da destinare all’attività venatoria.Alex_pongo

La passione di Osvaldo e Gianluca Lerda

foto_caccia

Articolo di Giancarlo Mancini tratto dalla rivista “Diana Caccia”

Tutto nasce dai viaggi estivi di Osvaldo Lerda, quando da ragazzino, nel Midì della Provenza (Francia ) in compagnia delle zie, conobbe dapprima i meravigliosi ariégeois, per cui, iniziato in Italia l’allevamento, ebbe subito dall’Enci l’affisso «dei Lupi del Grana». Dagli anni ’90, al lavoro di famiglia si è anche inserito il figlio Gianluca, impegnandosi a selezionare diverse linee di sangue di cani «capimuta» delle tre razze, che fa lavorare sia a lepre che a cinghiale, perché ha aggiunto anche i griffon vandéen
ed i petit anglo francesi. La passione scaturì perché 1’ariégeois, sul terreno di caccia, è un segugio di grande duttilità venatoria e dal perfetto collegamento al filo della traccia e da innato buon metodo,tanto che lo si può addestrare con facilità sia sulla lepre che sul cinghiale; se il ceppo di sangue è valido e proviene da soggetti selezionati nel lavoro, il risultato è sempre ottimale. Il segugio che sa condurre la traccia della lepre, sarà anche validissimo sul cinghiale a causa dell’emanazione più forte e della traccia, sull’uscita dalla pastura, unica e diritta.
Gianluca così ci ha spiegato il loro modo di allevare: «Sulla visione di diversi bravi soggetti, la nostra attenzione è sempre andata verso quel riproduttore con tante qualità riunite insieme, un Campione doc che deve avere buona voce in pastura, soprattutto se sono passate tante ore da quando il selvatico è fuggito dal covo, un cane che sulla passata non deve perdersi e se va in fallo, nel caso della lepre, è bene che riprenda il filo della matassa e vada allo scovo, anche mettendoci più tempo; la sua seguita sia sicura e incalzante, in modo consecutivo, tenendo la muta compatta e vigorosa. Oltre queste peculiarità, vogliamo che il carattere sia forte e non timido (per evitare la paura del colpo di fucile e della buscata da cinghiale) senza però essere mordace. Il riproduttore – continua Gianluca – deve dimostrarsi intelligente, tanto che nella situazione di tine battuta, ovunque si trovi, deve avere il senso di orientamento e rientrare sui suoi passi, dove è stato sciolto o sceso dalla macchina. In caso di ritardo, metteremo una coperta o un indumento che conservi il nostro odore, perché il cane, una volta che lo abbia rintracciato, rimanga ad attendere il nostro ritorno. foto_caccia

Quelle elencate – continua – sono solo alcune delle caratteristiche selettive che pretendiamo dal capomuta, che sia maschio o femmina e che viene scelto per la riproduzione, e solo così, il problema dello scarto e della non riuscita in un cucciolo, nato da genitori che portano diverse linee di sangue. sarà ridotto al minimo. Un allievo di sei-sette mesi d’età – puntualizza Gianluca che, sciolto nei terreni di caccia, dimostri un collegamento con il conduttore e l’ istintiva volontà di lavorare cercando la lepre, e poi, intorno ai 12-15 mesi, si dimostri attivo in muta nela caccia al cinghiale, è quello che ricerchiano nei prodotti del nostro allevamento». Gianluca dà anche alcune indicazioni per la sua educazione venatoria: «Per la lepre, il cucciolo si può anche far lavorare da solo, affinché tiri fuori il metodo di cerca sull’incontro e sempre col naso in terra, ma poi, dopo che abbia raggiunto una maturità psico-fisica e aver compiuto Fanno e mezzo d’età, si passa alla caccia al cinghiale, in genere con ottimi risultati. Questo perché l’allievo è stato introdotto gradualmente nel lavoro senza bruschi impatti, che bruciano sempre le in­nate qualità venatorie, come buscare nel recinto degli ungulati o altri disguidi del genere. Un punto della massima importanza
che l’addestratore-conduttore usi tanta pazienza massimatnente dia tempo al tempo, in modo che il giovane segugio possa esprimersi in base alla maturità e all’esperienza raggiunte con l’inserimento nella sua mente dei metodi d’addestramento che gli vengono impartiti». Bisogna quindi essere orgogliosi – continua il nostro interlocutore – per ogni piccolo progresso del cucciolone (per esempio: saltare i fossi, evitare gli intralci dei rovi spinosi, sapersi difendere nel bosco più fitto ecc.) senza per questo pretendere che faccia il fenomeno fin dai primi tetripi della scuola. Noi siamo soliti dire che il segugio è lo specchio dei cacciatore che lo sta addestrando, per cui, se non lo segui con cuore e passione, non potrai mai pretendere che all’apertura della caccia ti scovi la lepre o rimanga legato in muta durante la canizza al cinghiale. Insomma – conclude Gianluca – il segugio è come un figlio ed il sacrificio di seguirlo e di aiutarlo nella crescita sarà contraccambiato dal suo affetto e dalla certezza della riuscita venatoria».

 


Al cinghiale con ariégeois e vandeani

articolo tratto da “Diana Caccia”di Massimo Scheggi

I cani da seguita stranieri

Gli chiens courants stanno per essere sostituiti dai segugi maremmani nella caccia al cinghiale? La domanda provocatoria dipende dai fatto che ostra razza, ormai riconosciuta ufficialmente, sta prendendo sempre campo fra le squadre dei cinghialai. I numeri però sono lì a riaffermare diffusione delle razze da seguita straniere e la loro validità.
Come ci racconta Gianluca Lerda

E ora come la mettiamo? No, dico, dopo il riconoscimento del segugio maremmano, ma soprattutto dopo che questo ha dimostrato la sua valentia sul cinghiale. Mi giunge voce che alcuni stanno abbandonando le razze da seguita straniere a favore del nostro cane. Che c’entra’ Gli è che varie volte ho affermato come il diffondersi di razze straniere da seguita nel nostro Paese, è dipeso dallo sviluppo della caccia al cinghiale. Che cioè in molti casi si è preferito al nostro segugio italiano delle razze estere già abituate a cacciare gli ungulati. Ora si tornerebbe alla cinofilia italica, visto che il segugio maremmano non ha niente da invidiare, riguardo ormai anche alle carte, a razze ben più onuste di storia e pure di gloria. Perché va rilevato (sia detto fra parentesi) che il segugio maremmano si sta pure affinando nelle forme, migliora morfologicamente, in una parola: è più razza. L’ho del resto potuto constatare al raduno di segugi maremmani e piccoli lepraioli italiani che si è tenuto a Ruralia il 29 maggio scorso. Duecento soggetti dalle caratteristiche morfologiche notevoli, quasi tutti riconosciuti, con tanto di complimenti da parte dei giudici Giuseppe Gramignoli e Giuseppe Mozzi. Ebbene, alcuni dei cinghialai presenti che fino a qualche anno fa avevano segugi esteri, adesso sono passati decisamente al nostro segugio.
Queste considerazioni non sono tuttavia confortate dai numeri a livello nazionale, vale a dire dalle iscrizioni al Roi del 2003 che contano ancora molti soggetti fra gli chiens courants e altre razze estere. Vediamo un momento. Nel 2003 sono stati iscritti al Roi 960 ariégeois che ormai rappresentano la razza francese di segugi più diffusa in Italia, la quale ha scavalcato da qualche anno, a livello numerico, i briquet griffon vendéen che adesso sono 792. Seguono i petit bleu de Gascogne con 550 soggetti e gli altri bleu, i griffon, che contano 546 cuccioli. A queste vanno aggiunte poi le altre razze francesi, i bruni del Giura (334), gli istriani (300), il dachsbracke (364, in crescita continua) e non possiamo certo dimenticare il beagle (3.459), che ormai è diventato il segugio più numeroso dopo il segugio italiano a pelo raso. Stanno bene quindi i francesi. Diciamo allora che i segugi maremmani gli si affiancano degnamente.
Per conoscere comunque alcune caratteristiche di lavoro delle razze più diffuse, come l’ariégeois e il briquet griffon vendéen, abbiamo chiesto al giovane Gianluca Lerda, titolare con il babbo Osvaldo dell’allevamento de I Lupi del Grana, in quel di Caraglio (Cuneo), di raccontarci qualche episodio di caccia al cinghiale in compagnia di questi segugi. Eccone il racconto.


Ariégeois o vandeani ? ,Purchè siano francesi

La selezione per un segugio DOC che diventi nel nostro caso un buon riproduttore per l’allevamento, non è tanto semplice, perché, oltre alla morfologia più tipica, deve soprattutto dimostrare delle grandi qualità venatorie e caratteriali che saranno doti fondamentali per la trasmissione genetica ai cuccioli. Il territorio di caccia del cuneese è molto selettivo, nel senso che non vi è alta densità di selvatici, lepri e cinghiali. Inoltre il cinghiale dalla pastura della notte fa molta strada nel sottobosco delle nostre vallate (dai 1.000 ai 1.200 me­tri di altitudine) prima della rimessa. In questi casi il segugio deve per forza di cose lavorare naso a terra e usare tutto il suo olfatto per rilevare la traccia lunga prima di raggiungere il covo dei cinghiali. Certe volte ci è capitato che, tracciando una zona o comunque facendone il perimetro, magari nei mesi di settembre/ ottobre. quando i terreni sono asciutti e duri e pertanto occorre affidarsi a un cane, di non rilevare niente. Mi è successo però che rifacendo la stessa tracciata con soggetti esperti, ho constatato che invece gli animali c’erano, quelli che nella notte avevano vagato in quei posti. Ma quando trascorrono 12/14 ore su uno sterrato duro, in situazioni climatiche quasi estive, solo un segugio di grandi qualità olfattive è in grado di fare la differenza, tracciando al guinzaglio e portandoti allo scovo. Una situazione da ricordare come esempio è questa: in una battuta a cinghiali. al mattino, sull’incontro della pastura notturna, alcuni ariégeois pren­dono la direzione dei selvatici e vanno fuori zona. Ma io tenendo legata la Diana, un altro ariégeois, entro in una macchia fitta circostante la zona già battuta. La Diana alza subito la testa e dà la voce. Lo aveva preso a vento. Sciolgo il cane che fa alzare un cinghiale che poi viene abbattuto alle poste. Nella stessa mattinata mio padre mi comunica via radio di voler cambiare zona e batterla con dei vandeani freschi. Io però non sono convinto e voglio ritentare ancora dove la Diana aveva alzato il cinghiale. Con tre vandeani legati a guinzaglio, ripercorro gli stessi territori. I segugi iniziano a dare la voce già dalla pastura, li sciolgo nelle macchie e cominciano a salire il vallone con un cinghiale davanti che viene anch’esso abbattuto alla posta. Va rilevato del resto che il cane esperto, e in questo caso soprattutto i vandeani, va a volte di naso come fosse un cane da ferma e avventa i cinghiali an­che da grosse distanze. Una grande soddisfazione per me, perché gli anziani, dall’alto della loro esperienza, credono che se un giovane fa di testa sua. abbia sempre torto. Quell’esperienza mi fece monito che quando si trova un cinghiale in una zona, prima di lasciarla è bene essere sicuri che non ci siano altri animali. In effetti se in una rimessa ci sono diversi cinghiali, i segugi fanno la seguita su quelli che si alzano e corrono, mentre il cinghiale più smaliziato e picchiatore a volte non si muove. In questa situazione, ripassando una seconda volta, c’è la possibilità di rimettere in piedi altri cinghiali. Nell’ultimo giorno di caccia dell’anno scorso, la mattina, con gli ariéoeois si prese un bel maschio di cinghiale. Nel pomeriggio mio padre decide, con due briquet griffon vendéen, di andare in una zona soleggiata, di vegetazione bassa, con molti rovi e spinaie nella parte centrale del monte. Io mi tenni più in basso, dove c’è un ìnsoglio circondato da pini, nel quale i cinghiali si impiastricciano e poi si strofinano all’albero più grande (in dialetto piemontese la sagna). Avevo con me Rocki, il vandeano capomuta, che poi è anche il riproduttore del nostro allevamento. Lo tenevo legato con guinzaglio lungo. per essere sicuro di scioglierlo sulla traccia giusta. Quella notte i cinghiali non erano stati all’insoglio. Proseguo a zig zag nel fitto del bosco, fino alla cresta della montagna e sciolgo Rocki. Il vandeano subito si allunga nella cerca fino a non vederlo più. A un tratto sento in lontananza un urlo impressionante, tipico dei vandeani. Aveva preso i cinghiali di vento. A trecento metri il cane era ad abbaiare a fermo davanti, anzi quasi sopra, ad una prunaia fittissima e, come fosse uno sciame d’api, da quegli spini cominciarono a sparpagliarsi a ventaglio 7 cinghiali che subito il vandeano prese a inseguire in canizza. Anche mio padre. più lontano, scioglie allora i suoi due vandeani che subito vanno dietro a Rocki. Avviso i postaioli di stare attenti. Vennero abbattuti due cinghiali, ma i vandeani proseguirono nell’inseguimento di quelli che avevano passato le poste. A conclusione di queste brevi esperienze voglio semplicemente dire che una buona cacciata è tutto merito del cane. È lui che grazie alle sue qualità olfattive, alla sua iniziativa, alla sua passione, si inventa in alcuni casi la riuscita della battuta. Lo scovo pomeridiano che ho raccontato, fu appunto un’invenzione di Rocki. Quando pensi che ormai la caccia per un giorno sia finita e poi invece ti accorgi che, per me­rito di un cane, le emozioni più belle sono ancora
da vivere, ebbene non puoi che amare sempre più questo sport di natura e segugio. E io ringrazio i miei cani, gli ariégeois. i vandeani come gli anglo francesi, che riescono a farmi vivere queste emozioni. No, non c’è pericolo che queste razze vengano sostituite da altre».
Parola di un giovane esperto.